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L'attività mineraria dagli Etruschi al Novecento

Gli Etruschi furono i primi a sfruttare la zona mineraria e intorno al 750 a.C. l'estrazione dei minerali portò questo popolo a essere il più ricco dell'Italia centrale. Le città di Populonia e Vetulonia spinsero i domìni verso le Colline Metallifere. Populonia traeva la ricchezza dal minerale ferroso estratto, dal IV secolo a.C., nell'Isola d'Elba; da Vetulonia, invece, partirono molti degli abitanti per andare a stabilirsi nei villaggi intorno all'attuale Massa Marittima (tanto che, nelle vicinanze del lago dell'Accesa, sono state ritrovate tracce di questa presenza). In queste terre abbondavano minerali ricchi di argento e di rame. E i ritrovamenti effettuati attestano una continuità nel trattamento dei minerali, che non è tanto diverso da quello delle moderne acciaierie e fonderie; sono state ritrovati, infatti, resti di forni fusori e, sempre intorno al lago dell'Accesa, le fondamenta di un abitato del VI secolo a.C. dove vivevano probabilmente i dirigenti di una miniera. Gli Etruschi trasformavano quei minerali ricchi di oro, ferro, argento, piombo, rame, in monili e oggetti di vario uso.

Nella foto, scavi di villaggio minerario etrusco nei pressi del piccolo lago dell'Accesa.

Gli scavi, condotti periodicamente dal 1980, hanno riportato alla luce, sull'altura a sud-est del lago, numerosi quartieri abitativi, dei quali sono visibili solo le fondazioni degli edifici.
Si tratta di nuclei comprendenti circa dieci case ciascuno, generalmente di due o tre vani. La tecnica costruttiva era quella tipica degli abitati etruschi: fondazioni di pietre connesse a secco e alzato in mattoni crudi o realizzato con la tecnica del graticcio (pali di legno, paglia e argilla); tetto con tegole e coppi; pavimento in argilla battuta. Nel villaggio sono state rinvenute tracce di attività collegate all'estrazione e alla lavorazione minerali, rappresentate soprattutto da scorie di fusione.

L'insediamento, che ha avuto la durata di circa un secolo (fine VII - inizio VI sec. a.C. fino alla fine del VI), dipendeva da Vetulonia. La sua fine va messa in connessione con la perdita del controllo sulle zone minerarie da parte di Vetulonia a favore di altri centri, in particolare di Populonia.

Dopo gli Etruschi, i Romani proseguirono lo sfruttamento anche se in maniera minore. Con le invasioni barbariche e la distruzione di numerosi centri abitati, si ebbe l'abbandono delle miniere fino al Medioevo. Le scorrerie barbariche e quelle dei pirati e dei saraceni misero in ginocchio Populonia, la cui diocesi fu trasferita, intorno all'XI secolo, a Massa.

L'attività riprese grazie all'arrivo dei maestri lombardi, in particolare comacini, alla manodopera tirolese, sassone e altoatesina. Non a caso, Montieri, dominato dai vescovo di Volterra, in questo periodo vide aumentare l'importanza delle proprie miniere e Siena acquistò una parte delle argenterie di Montieri per coniare le monete. L'estrazione dei minerali di rame, zinco, piombo e in particolare argento, ebbe dunque un notevole impulso nel periodo medievale.

Il massimo splendore di Massa Marittima come centro minerario si ebbe tra il 1200 e il 1350; per il suo patrimonio, infatti, era chiamata “Massa Metallorum” (la città dei metalli). Nel 1225, la città divenne libero comune, riscattandosi, in virtù della ricchezza che gli veniva dalle sue miniere, dalla signoria dei Vescovi e per oltre cento anni riuscì a mantenere la sua indipendenza.

Ebbe una propria zecca, propri pesi e misure e dette all'Europa il primo Codice Minerario della storia: "ORDINAMENTA SUPER ARTE FOSSARUM RAMERIAE ARGENTERIAE CIVITAS MASSAE" (sec. XIII), stupendo esempio di legislazione che regolava lo sfruttamento dei campi minerari, testimonianza dell'altissimo grado di evoluzione raggiunto dal paese sia sotto il profilo giuridico che nella capacità di gestione delle risorse del sottosuolo.

Dalla metà del XIV sec. le guerre, le pestilenze, la soggezione a Siena posero fine per quattro secoli all'attività mineraria in Maremma; la Repubblica di Siena e successivamente i Medici, quando subentrano al potere, considerarono la regione come una colonia e la ridussero in uno stato di estremo degrado.

Il "Grosso" massano era la moneta battuta nella zecca della libera Repubblica di Massa. E' stato riacquisito per il Museo Civico della città per iniziativa del Centro Studi Storici "A. Gabrielli".

Solo a partire dal 1830 circa l'area entrò in una fase di ripresa, soprattutto grazie alla vasta azione di riforme e bonifiche intrapresa dai Lorena. Fu il Granduca Leopoldo II che rilasciò le concessioni per i primi tentativi di indagine mineraria nella zona: questi sfociarono in fallimenti poiché le avverse condizioni dell'ambiente, ancora afflitto dalla malaria, non permisero mai di ottenere risultati concreti dopo le pur fruttuose ricerche. A partire dal 1860 finalmente nacque una società, la "Fenice Massetana'', che sfruttò in modo redditizio i filoni di pirite nella zona del lago dell'Accesa.

Veduta esterna della miniera di Fenice Capanne (Massa Marittima), nei primi anni del '900. Si noti il pozzo ligneo.

Allo scadere del secolo comparve in Maremma la "Società Montecatini" (che assunse il nome dalla sua prima miniera, sita a Montecatini di Val di Cecina, in provincia di Pisa), che nel giro di poco tempo acquistò la maggior parte delle miniere del comprensorio e ne incrementò la produzione dando impulso, negli anni, anche ad un settore chimico che utilizzava il prodotto primo proveniente dalla lavorazione della pirite: l'acido solforico.

Il resto è storia recente: le miniere sono state per decenni l'asse portante dell'economia locale, che poggiava quasi totalmente sull'industria estrattiva e sulla collaterale attività di trattamento dei solfuri; questo settore ha conosciuto una fase di grave declino, le miniere sono state tutte chiuse e Massa Marittima sta cercando di rilanciare la propria economia con il turismo.

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